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Olii cotti e rischi per la salute. Ne parlo per InBici Magazine

in Nutrizione

Tuffare il cibo nell’olio, regolare il termostato del forno oltre i 180 ◦C e cuocerlo a temperature altissime per portarlo velocemente in tavola –  chi non l’ha mai fatto?

Il cibo, mentre scoppietta e subito si dora esternamente diventa tossico per l’organismo

Andiamo sempre di fretta e nessuno ha mai tempo per le cotture lente, ma è proprio così che il cibo, mentre scoppietta e subito si dora esternamente, diventa tossico per l’organismo. Questo succede perché quando riscaldiamo troppo l’olio raggiungendo quella temperatura definita punto di fumo, esponendolo contemporaneamente all’ossigeno dell’aria e all’umidità del cibo, esso inizia a degradarsi, la sua stabilità chimica viene compromessa ed i trigliceridi che lo compongono – costituiti da acidi grassi e glicerolo – subiscono complesse reazioni di idrolisi, ossidazione e alterazione termica che minacciano la qualità dell’olio e del fritto dando vita a nuove sostanze nocive per la salute, come l’Acroleina.

Si tratta di un’aldeide estremamente tossica con proprietà cancerogene che origina dalla disidratazione del glicerolo durante le pratiche di frittura ad alta temperatura. Parte dell’Acroleina così formata si separa dall’olio evaporando sottoforma di un fumo biancastro tossico e molto irritante per coloro che la inalano in cucine poco ventilate, mentre la restante parte che non volatizza residua nell’olio, qui si accumula, impregna i cibi e danneggia conseguentemente coloro che la ingeriscono esercitando effetti genotossici e citotossici.

Sorprendentemente, le concentrazioni totali di aldeidi tossiche che residuano negli oli esposti ad episodi ripetuti di frittura arrivano a superare i 50 mmol./kg e il consumo umano di un solo grammo di questi oli perossidati cederà un contenuto di aldeidi insature ≥50 μmoli, superando spaventosamente il limite di  9,36 μmoli/giorno indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come tollerabile per un peso umano medio di 70 kg. Ecco perché non bisogna riciclare mai l’olio di frittura!

La temperatura di cottura e il tipo di olio

Eppure un numero significativo di oli e grassi provenienti dai fast food raggiungono valori pari a circa il 60% di tali composti polari, sebbene sia ben regolamentato che gli oli di frittura debbano essere sostituiti quando il contenuto totale di tali composti supera il 25% espresso sul peso dell’olio. Dunque, potrebbero esserci sostanze più tossiche del paraquat nei cibi fritti, in quantità veramente pericolose per la salute umana. Riciclaggio escluso, è importante conoscere e rispettare il punto di fumo dell’olio e avere sempre un accurato controllo della temperatura di cottura. Le temperature elevate infatti accelerano la velocità di degradazione dei lipidi aumentando la vaporizzazione dei composti aldeidici per cui si prevede che una temperatura dell’olio di frittura di 180°C e oltre produrrà livelli tanto più elevati di queste tossine sia nell’olio da cucina stesso che nei fumi che ne derivano rispetto ad una temperatura di frittura inferiore a 150◦C.

Anche la scelta del tipo di olio è significativa: è stato dimostrato che la natura molecolare e le concentrazioni di aldeidi tossiche rilevabili in campioni di olii culinari esposti a pratiche di frittura ad alta temperatura dipende anche dalla composizione chimica dell’olio scelto per friggere: praticamente gli olii ad alto contenuto di acidi grassi polinsaturi come ad esempio l’olio di mais non sono indicati per friggere perché si degradano più rapidamente generando livelli molto più elevati di aldeidi e ad un ritmo più rapido di quelli con alto contenuto di acidi grassi monoinsaturi come l’olio di oliva o di arachidi che hanno stabilità perossidativa maggiore.

La tossicità di queste aldeidi, in particolare di quelle α,β-insature, è ascrivibile alla loro estrema reattività chimica con substrati fisiologici come aminoacidi liberi, glutatione, proteine ​​e DNA. Gli effetti dannosi sono concentrazione-dipendenti e includono azioni teratogene (malformazioni embrionali in gravidanza), proprietà neurotossiche, effetti pro-infiammatori e proprietà mutagene e cancerogene. Ad oggi, molti studi scientifici documentano i potenziali contributi di queste tossine di origine alimentare alla patogenesi e incidenza delle malattie croniche non trasmissibili come il cancro e le malattie cardiovascolari. Ne sono un esempio le forti associazioni causali tra il rischio di malattia coronarica ed il consumo ricorrente di pasti fritti, in particolare ≥4 volte a settimana, e tra consumo frequente di cibi fritti e rischio aumentato di cancro alla prostata, anche del 35%.

InBici Magazine

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