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Con il quasi lockdown meno dolciumi in dispensa

in Nutrizione

Gli esiti della pandemia stanno andando ben oltre a quelli direttamente causati dal covid19. Tra le varie conseguenze, le misure adottate per frenare la diffusione del virus hanno rivoluzionato lo stile di vita e influenzato negativamente sonno, alimentazione e attività fisica, tre importanti fattori di rischio di obesità; questo vale per tutti, ma merita particolare attenzione in riferimento a bambini e ragazzi che già dal precedente lockdown sono gli unici ad aver vissuto in pieno tutte le restrizioni risultando maggiormente a rischio.

La pandemia potrebbe portarsi dietro un grave “effetto collaterale”: una crescita esponenziale dell’obesità in età evolutiva, già di per sé molto diffusa in Italia dove si registrano i tassi di obesità infantile più alti di tutta Europa.

Una ricerca scientifica italo-americana condotta su 41 bambini e ragazzi italiani sovrappeso durante il lockdown conferma questo rischioso “effetto di rimbalzo”. I dati raccolti dallo studio indicano che durante la quarantena i bambini e ragazzi italiani hanno ridotto notevolmente le ore settimanali dedicate allo sport, hanno trascorso cinque ore in più al giorno davanti agli schermi (computer, videogiochi, tv) e consumato un pasto in più al giorno, aumentando l’assunzione di patatine fritte e bevande zuccherate; tutti fattori inevitabilmente collegati all’aumento di peso. Ad’oggi, con l’inasprimento delle restrizioni e l’incertezza della loro durata, questo problema torna nuovamente a destare preoccupazione. Da una parte la lontananza da scuole, palestre, piscine, cortili, piazze e dall’altra case con dispense rifornite di alimenti processati costituiscono un catalizzatore dell’obesità perché espongono i bambini ad un “ambiente obesogenico”, ovvero sfavorevole al mantenimento di comportamenti salutari. È il momento di adottare misure preventive efficaci e promuovere un corretto stile di vita familiare per contrastare questo problema del domani. Infatti raggiungere l’obesità da bambini potrebbe non essere facilmente reversibile e avere elevate probabilità di presentarsi nell’età adulta poiché si associa ad una crescita numerica delle cellule grasse e non del volume, come invece si verifica quando l’obesità interviene più tardi nel corso della vita.

No a bibite e cibi ricchi di zuccheri aggiunti

Il consumo eccessivo di zucchero resta da considerarsi un fattore di rischio tipico dei nostri tempi che espone ad alimentazione incontrollata, obesità e disturbi alimentari associati. A tal proposito, rivolgo questo importante consiglio a tutti i genitori: ridurre le ore di esposizione ai media perché la pubblicità alimentare promuove perdita di controllo degli impulsi e voglie alimentari; evitare che le case siano fin troppo rifornite di bevande zuccherate, dolciumi e cibi processati ricchi di zuccheri aggiunti (come ad esempio il saccarosio da cucina e sciroppo di mais) perché a quel punto qualsiasi negazione sarebbe inefficace ed il consumo inevitabile. L’attrazione verso i sapori dolci infatti è una caratteristica intrinseca e irrinunciabile dell’organismo perché costituisce un adattamento evolutivo senza il quale la specie umana non sarebbe sopravvissuta a lungo.

Perché gli zuccheri ci attraggono?

Desiderare e consumare fonti naturali di zucchero ogni volta che venivano reperite nell’ambiente esterno avrebbe permesso alla specie umana di formare scorte di grasso e aumentare le probabilità di sopravvivenza durante i periodi di carestia. Dunque, grazie all’evoluzione, abbiamo sviluppato un sistema della ricompensa cerebrale conosciuto come “via mesolimbica dopaminergica” in grado di attivarsi in seguito ad attività vantaggiose per la sopravvivenza – come ad esempio l’allora consumo di zuccheri naturali – e generare un’intensa sensazione di piacere nel cervello tramite dopamina. In questo modo, risultando lo zucchero piacevole, l’essere umano sarebbe stato spinto a ripetere l’azione vantaggiosa di consumarlo. Questo meccanismo è risultato conveniente finché il cibo è rimasto scarso, ma adesso che viviamo nell’abbondanza alimentare rischia di ritorcersi contro noi stessi perché la specie umana non si è ancora adattata agli eccessi. Gli zuccheri aggiunti sono ormai penetrati nei cibi di ogni angolo del mondo pertanto risultano disponibili 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Ne consumiamo troppi in ogni caso, ma abusarne rischia di diventare molto problematico perché la ricompensa innaturale dal consumo di zuccheri aggiunti supera i meccanismi di autocontrollo dell’organismo sviluppando in breve tempo zucchero-dipendenza.

Zuccheri: quando il consumo diventa dipendenza

Al giorno d’oggi, la raffinazione dello zucchero crea una sostanza chimica in forma di cristalli puri e bianchi caratterizzati per creare dipendenza e avere effetti psicoattivi simili alle droghe d’abuso. Lo dimostrano studi sperimentali condotti su ratti i quali posti di fronte alla scelta se consumare acqua zuccherata oppure mangime per roditori standard, continuano inconfutabilmente ad abbuffarsi della bevanda zuccherina. Smettono di fare ciò, manifestando sintomi di astinenza, soltanto dopo somministrazione di naloxone, un farmaco antagonista degli oppioidi generalmente somministrato in casi di overdose. Dunque la zucchero-dipendenza è una vera e propria dipendenza e si viene ad instaurare nei confronti di oppioidi endogeni rilasciati dall’organismo in seguito all’assunzione di zucchero. Se il consumo diventa cronico, si verificano modifiche neurochimiche: i recettori che rispondono alla dopamina diminuiscono e dosi crescenti di zucchero occorrono per ottenere  l’effetto piacevole inizialmente sperimentato a dosi inferiori. Quando invece si smette di consumarlo, il “deficit di dopamina” nel cervello induce al consumo compulsivo di zucchero allo scopo di evitare sintomi di astinenza quali iperattività, distrazione, diminuzione delle capacità intellettive – tipici del disturbo di iperattività con deficit di attenzione – fino ad arrivare ad un live stato di depressione.

Isabella Lelli | Nutrizionista Parma Siena Grosseto
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